About the Author: Roberta Turci

L’ho voluto vivere sulla mia pelle, perché io sono fatta così.

Voglio sentire tutto, passarci attraverso e farmi attraversare.

Se non cadi sul campo, e non impari a rialzarti, non puoi aiutare nessun altro ad affrontare la partita.
All’inizio mi sentivo immune. Ero convinta che non potesse sfiorarmi: abito nell’invisibile da sempre. Non poteva essere interessato a me.
Lui è venuto a svegliare i dormienti. E io sono fin troppo sveglia. Non si occuperà di me, mi dicevo. Pensa quanto è presuntuosa la mente, che pretende di capire sempre tutto!
E poi me lo aspettavo. Non sapevo in che forma avrebbe scelto di manifestarsi, ma sapevo che sarebbe arrivato qualcosa che avrebbe distrutto tutto per costringerci a ricostruire un mondo nuovo.
L’ho atteso, ringraziato, onorato.
L’ho anche sfidato.
Perché io sono così: amo le sfide, e tutto quello che è fuori dall’ordinario.
Non amo le convenzioni, le regole, gli stereotipi.
Tutto quello che arriva per sovvertire un ordine prestabilito, è benvenuto.
Ho sempre avuto una grande passione per i dinosauri e gli eroi ribelli.
La tranquillità è noiosa.
La razionalità è banale.
La normalità è mediocre.
Sono un po’ scienziata e un po’ maga.
Un’alchimicastra.
Il virus entra se lo lasci entrare. Su questo, dubbi non ne ho mai avuti.
L’anima fa le sue scelte, anche se la mente non le comprende.
All’inizio, la quarantena non ha cambiato praticamente niente nei miei giorni.
Il lavoro in ospedale non si è fermato.
E nemmeno il resto.
Potevo fare le camminate fino al fiume, che è dietro casa.
Continuare la traduzione del libro di astrologia medica.
Dal parrucchiere c’ero appena andata.
Ho dovuto rinunciare a poco.
E tra l’altro, il mondo silenzioso mi assomiglia di più.
Senza distrazioni inutili, senza tutto quel rumore che non dice niente.
Senza riunioni inconcludenti, senza feste a cui non sono invitata.
Spero davvero che non resti più niente di quello a cui eravamo abituati.
Ma temo che non accadrà nessun miracolo.
Bisogna cambiare dentro, perché cambi ciò che è fuori. Il processo inverso non funziona.
La mia vita da sempre mi chiede di accettare l’inaccettabile, e più le dico che non riesco, e più insiste.
Più le urlo che è ingiusto, più alza la voce. Mi riporta sempre lì.
O cambi, o tutto si ripete.
Il cambiamento interiore è il mio mestiere. Nessun merito particolare, anzi.
Non ho scelta, finché non imparo.
Vite e vite di cecità e testardaggine da riscattare.
Io cerco di capire, trovo strade, imparo, inciampo, impreco, mi rialzo più forte, poi ricado.
E intanto incontro persone: a volte anche loro devono accettare l’inaccettabile, cadono e si rialzano, e, se me lo chiedono, le accompagno fin dove posso.
Fino a dove sono arrivata io.
Aiutando loro, aiuto me. Do un senso al mio dolore, una direzione al mio cammino.
Non ho soluzioni, ma esperienze, condivisioni, formule magiche, qualche incantesimo.
Vedo e sento tanto dolore, qualcuno ha troppa paura, qualcuno sceglie la strada più facile, si mette in attesa di quello che può arrivare da fuori a salvarlo.
Come quando un elicottero ti strappa all’ultimo istante dalle mandibole del T-rex, o Spiderman ti afferra al volo mentre stai precipitando nel vuoto.
E io che vorrei spiegar loro che non funziona così.
A volte tutto quel dolore è troppo.
Non reggo la paura, la vigliaccheria, la rabbia.
Non reggo le bugie che si raccontano, che quasi mai sono autorizzata a smascherare.
Mi sento come Cassandra, che sente e sa, ma non viene ascoltata. Com’è giusto che sia.
Mi vedo allo specchio nei loro occhi persi, a volte spenti e a volte fin troppo accesi.
È così che l’ho lasciato entrare.
Arrabbiata e atterrita.
Impotente.
In astinenza da abbracci e da domande che non arrivano mai, come un “come stai?” da parte di chi vorresti e non c’è.
Accompagno gli altri dove generosità e altruismo sono smascherati, figli del bisogno di riconoscimento, richieste surrogate di amore, e non mi accorgo che a volte anch’io cado dentro lo stesso inganno.
Anzi, me ne accorgo – perché io mi accorgo sempre di tutto, accidenti a me. Ma faccio finta di no.
Mi carico di tutto, ascolto, rispondo, immaginando l’ansia e il dolore che muovono le richieste di aiuto che mi arrivano, perché io so bene cosa significa non essere ascoltati.
Ma c’è un limite. E quel limite sono io.
È così che l’ho lasciato entrare.
Me ne sono accorta, ma ho fatto finta di no. Mi sono rifiutata di avere paura.
Sentivo dolori ovunque, avevo un po’ di tosse, una stanchezza apocalittica, ho dormito 12 ore per 3 notti di fila, e sudato come se avessi avuto 40 di febbre, ma la febbre non l’ho mai provata, perché se l’avessi avuta alta, mi sarei spaventata di più.
Perché la paura è più potente di qualunque malattia.
E anche se a volte me lo dimentico, anch’io ho paura. Ma non di morire, ho paura di non finire tutto quello che sono venuta a fare.
Poi ho perso olfatto e gusto. E allora ho capito.
L’avevo lasciato entrare.
Per la troppa rabbia, per il troppo dolore.
Mi sono sentita sola, abbandonata, inesistente.
In questa situazione, può venirti la tentazione di desiderare qualcuno accanto. A qualunque costo. Raccontandoti le solite bugie che si raccontano in tanti.
Se c’è una cosa che deve cambiare in questo mondo, è il nostro modo di stare in relazione.
Sono sicura che, in questa fase di isolamento, si amplifica la disfunzionalità di molti rapporti di coppia, ma anche il senso di solitudine di molti single.
Il faro è puntato su chi sta insieme per paura di giudizio e solitudine, per chi crede che la famiglia sia un valore da difendere a ogni costo, per chi ha fondato tutto su un’idea, e non su un sentimento, per chi è convinto che il sacrificio di sé sia da premiare.
E in tanti continueranno, imperterriti. Anzi, si convinceranno ancora di più che è bene avere qualcuno di fianco che chiama l’ambulanza di notte se stai male, e ti va a fare la spesa se hai la febbre.
Ma il faro è puntato anche su chi è solo perché non crede più nella coppia, o non vuole prendersi responsabilità, o ama troppo la sua libertà.
E qualcuno forse cederà, per avere chi va in farmacia o gli prepara un brodo caldo se sta male, o per farsi portare al mare quando tutto sarà come prima…
Non ho ancora finito di stilare la lista delle risposte alla domanda: “perché l’ho lasciato entrare?”, ma in cima all’elenco c’è di sicuro:
Ricordati che sei vulnerabile. Ricordati che anche tu hai paura.
Che non esisti se sei tu a nasconderti, che se chiedi aiuto, qualcuno ti risponde, che a volte le persone non ci sono perché non ne sono capaci, che l’amore vero che sappiamo coltivare, ritorna sempre. Che puoi fermarti, puoi dire di no, puoi abbassare la testa e gli occhi, puoi farti sentire, puoi voltarti e andare via. Che puoi arrabbiarti, e poi dimenticare, e ricominciare. E puoi amare anche chi non ti ama, e non perderci niente.
Puoi riconoscere i veri amici, e scoprirne di nuovi.
Puoi persino guardarti allo specchio, e pensare: ok, anche stavolta me la sto smazzando da sola, perciò vulnerabile sì, ma pur sempre invincibile!
Perché in fondo, lo siamo tutti, invincibili. Dobbiamo solo crederci.
Alla fine di tutte le strade, c’è l’amore per noi stessi, la capacità di rispettare i nostri limiti, c’è la decisione amorevole di non rispondere in tempo reale a tutte le richieste di aiuto, di fermarsi, di rallentare, di dire no, o di dire a qualcuno che ci ha ferito, o che abbiamo bisogno di un abbraccio.
Eh. Un abbraccio.
Niente vale di più.
Spero di sviluppare l’immunità, spero che farlo entrare sia servito almeno a questo, a essere protetta, a essere più forte.
Anche se sono stanca di essere forte.
Volevo essere forte, e mentre cercavo di essere forte, ho finito le forze e l’ho lasciato entrare.
Non l’ho mai visto come un nemico da combattere, ma come un alleato di cui carpire i segreti.
Uno scorpione che sa di chimica e di astri, non può avere paura di una forza invisibile.
Qualche giorno prima di ammalarmi, ho fatto un sogno: dovevo passare in mezzo a due serpenti, ma non avevo paura. Uno dormiva, l’altro (quello a destra!) all’improvviso mi ha avvolto, e io ho schiacciato la sua testa facendo uscire un liquido nero, e mentre un uomo che cercava di aiutarmi è stato morso, io mi sono detta: vabbè ma cosa può succedermi? Dopotutto, io lavoro al Centro Anti Veleni! (Che per chi non lo sapesse, è la verità!)
Devo aggiungere ancora un po’ di voci alla lista delle ragioni per cui l’ho lasciato entrare, ma so già che alla fine c’è scritto: “Ricordati di non cedere mai. Non avere mai abbastanza paura da arrenderti a un amore che non è amore, ma mutua assistenza, o bisogno di compagnia. Mai, per nessuna ragione al mondo!”
Deve essere solo per amore. Per amore di me.
Voglio quell’amore che non conosce distanze, che spunta negli occhi quando ti giri all’improvviso, che sfida le regole e non ha paura di niente, e che si sente anche senza parlare.
Voglio riuscire a sentire nelle viscere che me lo merito anch’io.
Comincia tutto da lì, da quanto ognuno sente di meritarlo.
Non lo sente chi dorme accanto a chi non l’ama, così come chi non ha nessuno accanto.
Sono due facce della stessa medaglia.
Tutto ha un senso, senza dubbio, ma il senso ce l’ha solo se si impara.
Altrimenti, tutto il dolore è inutile.
Sono certa che c’è un disegno immenso dietro ogni cosa, anche la più ingiusta e dolorosa. Non mi chiedo più quali sono le cause, ma cerco di trovare l’obiettivo, la destinazione.
E credo proprio che abbia a che fare con l’accogliere il mistero.
Ho sempre adorato i misteri. Un tempo volevo risolverli, volevo capire tutti i perché.
Ora sto imparando a fidarmi, e affidarmi.
Va tutto bene così com’è. Anche quando sembra di no.
Roberta, l’alchimicAstra